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Sistema ambientale e naturale |
Suolo e sottosuolo |
Relazione Geologica per la Variante Generale al Piano Regolatore del Comune di Modena
Comune di Modena - Settore Risorse e Tutela Ambientale |
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Istituto di Geologia Università di Modena |
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ing. Alberto Muratori - Comune di Modena |
Coordinatore del Progetto Ambiente |
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prof. Rodolfo Gelmini - Istituto di Geologia di Modena |
Direzione scientifica |
dott.ssa Nadia Paltrinieri - Comune di Modena |
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dott.ssa Luisa Marino - Comune di Modena |
Responsabile della Ricerca |
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Geologia del territorio del comune di Modena e delle aree limitrofe Inquadramento geologico
Il territorio del Comune di Modena ricade interamente nella Pianura Padana, occupando un'area che dista meno una decina di chilometri dal piede dell'Appennino
(figura 1 PDF 842KB).
In superficie affiorano, nell'ambito del territorio comunale e nelle aree circostanti, esclusivamente depositi alluvionali, sedimentati alla fine del Pleistocene e nell'Olocene; il sottosuolo è noto attraverso lo studio delle litostratigrafie dei pozzi scavati per ricerche idriche e dai dati (sondaggi, indagini geofisiche) dell'AGIP, spinti, questi ultimi ad alcuni chilometri di profondità.
L'evoluzione del territorio, esaminata tenendo conto dei dati superficiali e di quelli profondi, appare assai complessa e strettamente legata alla evoluzione della catena appenninica; in particolare la fascia posta tra la pianura e le prime colline dell'Appennino è stata ed è sede di intesi e complessi movimenti tettonici per la sua particolare posizione quasi "a cerniera" tra la catena in surrezione e la pianura soggetta a sprofondamento.
Al di sotto dei depositi alluvionali affioranti a cui si è accennato, compaiono a profondità variabili tra i 100 m. e i 400 m. sedimenti marini più antichi, pliocenici e pleistocenici che rappresentano il riempimento dell'avanfossa appenninica durante gli ultimi 5 milioni di anni circa
(figura 2 PDF 151KB).
Il riempimento è avvenuto con sedimenti in massima parte terrigeni, di notevole spessore che denotano una subsidenza molto accentuata e un apporto detritico imponente.
La maggior parte di questi depositi è sepolta al di sotto delle alluvioni fluviali del Pleistocene medio-superiore - Olocene, depositato dai fiumi Secchia e Panaro e dai suoi affluenti -.
Al bordo dell'Appennino affiorano direttamente i sedimenti dell'originario fianco interno dell'avanfossa pliocenica, soggetti attualmente all'erosione, dopo esser stati più o meno intensamente tettonizzati e sollevati in varie fasi protrattesi a partire dal Pleistocene inferiore.
L'Appennino, nel suo complesso, è costituito da falde e sovrascorrimenti (thrusts) vergenti a Nord Est, appilati contro e sopra l'avampaese adriatico. La tettogenesi appenninica si è prodotta a partire dall'Oligocene, cioè quando, secondo l'opinione della maggior parte degli Autori, l'originaria litosfera oceanica era già stata interamente subdotta sotto il cratone europeo.
Pertanto la catena appenninica può essere considerata un "sistema post-collisionale"
(figura 3 PDF 33KB),
caratterizzato in profondità da una subduzione di tipo "ensialico" o di tipo "A" (Boccaletti e altri, 1980; Bally e altri, 1985), nella quale si dovrebbe produrre distacco ("delaminazione") e subduzione del mantello litosferico e, forse, della parte inferiore della crosta, mentre la parte superiore di questa e la relativa copertura sedimentaria si accorciano e si ispessiscono fortemente, deformandosi mediante strutture embriciate e piani di scorrimento ("flats" e "ramps", modello dei "thrust systems"
e (figura 4 PDF 123KB).
Le indagini gravimetriche, sismiche e di perforazione, compiute negli ultimi decenni dalle compagnie di ricerca di idrocarburi, hanno dato un quadro abbastanza completo dell'assetto stratigrafico e strutturale del sottosuolo padano (Pieri e Groppi, 1981; Dondi, 1985; Cassano, Anelli, Fichera e Cappelli, 1986). Per quel che riguarda il margine appenninico padano si nota la presenza di un minimo gravimetrico (anomalie di Bouguer) di -150 mGal che rappresenta il valore più basso di tutto il territorio italiano
(figura 5 PDF 41KB).
A questa anomalia sembra corrispondere uno spessore crostale di circa 50 Km (Cavallin e Giorgetti, 1982), dei quali oltre 10 km sono costituiti dal prisma di accrezione tettonico e dai sedimenti dell'antistante avanfossa (Cassano e altri, 1986)
(figura 6 PDF 55KB).
Nell'ambito dei sedimenti pliocenici e quaternari si osservano netti prismi sedimentari in corrispondenza dei "thrusts" frontali che documentano l'attività compressivo-traslativa pliocenica e localmente quaternaria di questi ultimi
(figura 7 PDF 71KB).
Detti sedimenti tendono ad assotigliarsi gradualmente andando verso Nord, in sintonia con la struttura sedimentaria sepolta costituita dalla regolare monoclinale alpino-padana che immerge verso Sud
(figura 6 PDF 55KB).
La profondità della Moho segue lo stesso andamento, diminuendo gradualmente verso Nord, fino a determinare anomalie di Bouguer positive ai primi rilievi pedalpini, con spessore della crosta di circa 30 km.
Le strutture padane derivano da una tettonica di embricazione i cui andamenti rientrano nel quadro dei sistemi di "thrusts" (Castellarin e altri, 1985) con accavallamenti lungo superfici a basso angolo (20-30°), la cui inclinazione aumenta andando verso sud. Le parti frontali dei sovrascorrimenti sono spesso caratterizzate da pieghe anticlinali fortemente asimmetriche.
Nella zona appenninico-padana gli elementi strutturali appilati vengono a formare un vero e proprio prisma di accrezione tettonica che, per entità e per i rapporti tra tettonica e deposizione, assume il carattere di fossa tettonica. Essa, secondo Castellarin e altri (1985), è assimilabile, malgrado le minori dimensioni ed il pronunciato carattere ensialico, a quelle esistenti sui bordi dei margini continentali attivi, e la posizione strutturale di questa pronunciata zona di inghiottimento crostale equivale a un fronte di subduzione A.
L'inghiottimento crostale è in rapporto al sottoscorrimento relativo dell'avampaese padano al di sotto degli embrici padani sepolti e dell'Appennino (Boccaletti e altri, 1985).
Questa situazione strutturale nell'ottica più ampia della tettonica dell'intera penisola italiana appare la conseguenza, come già accennato, della collisione avvenuta nel Cretacico superiore-Eocene fra le due zolle continentali Adriatica ed Eurasiatica. La continuazione degli sforzi comprensivi, anche dopo la completa subduzione di litosfera oceanica, ha provocato, come detto precedentemente, l'innesco di deformazioni di tipo ensialico, a vergenza orientale, entro la crosta della zolla Adriatica, con formazione, in superficie, di un'avanfossa che nel tempo ha progressivamente migrato verso Est.
A questo classico modello collisionale alcuni autori ritengono di dover associare movimenti trascorrenti lungo importanti discontinuità strutturali, come la cosidetta "Faglia Emiliana" di cui A. Bosellini (1981) documenta l'esistenza.
Essa, formatasi durante il Giurassico-Cretacico in concomitanza dell'apertura dell'Oceano Atlantico centrale e dell'Oceano Ligure, ubicabile lungo l'attuale margine settentrionale dell'Appennino, avrebbe partecipato alle principali fasi tettogenetiche alpine (Creta sup.-Paleogene) con un comportamento trascorrente sinistro.
La geometria dei "thrusts" pedeappenninici descritti in precedenza potrebbe essere influenzata dalla "Faglia Emiliana" dimostrando una sua attività anche durante il Neogene
(figura 8 PDF 109KB).
Le strutture appenniniche sepolte nell'area in oggetto, ricavate dai profili sismici a riflessione
(figura 9 PDF 69KB)
(Pieri e Groppi, 1981), sono caratterizzate da un chiaro motivo tettonico con allineamento di faglie inverse lungo il margine appenninico (thrusts pedeappenninici) messesi in moto in età medio-tardomiocenica (Probabilmente messiniana, Castellarini e altri, 1985) e la cui attività è proseguita sicuramente per quasi tutto il Pliocene, con la possibilità, almeno per alcune di esse, di movimenti anche quaternari (Bartolini e altri, 1983). Esse hanno provocato rigetti generalemnte dell'ordine di qualche centinaio di metri o anche superiori. A questi "thrusts" sono associate, secondo allineamenti Ovest Nord-Ovest - Est Sud-Est, strutture anticlinali frontali asimmetriche (con fianco Nord più ripido) prodottesi contemporaneamente al raccorciamento o nella sua fase iniziale.
L' insieme delle strutture, "thrusts" e pieghe, evidenziano uno spostamento verso Nord Nord-Ovest del margine appenninico valutabile dai 10 ai 30 km a partire dalla fine del Miocene (Bartolini e altri, 1983; Castellarini e altri, 1985)
(figura 8 PDF 109KB).
Nell'area in esame le più note strutture positive, a partire dal margine appenninico andando verso Nord, sono le strutture di Maranello e di Spilamberto - Modena - Casalgrande appartenenti alle cosidette "Pieghe Emiliane"; a queste succede poco a Nord della via Emilia un'altra thrust simile ai precendenti, quello di Albareto, estremità occidentale delle "Pieghe Romagnole", che ribassa il tetto del pre-Pliocene dai circa 2.000 m delle strutture precedenti a oltre 8.000 m di profondità.
Molto più a Nord ancora abbiamo la struttura di Cavone, che fa parte delle "Pieghe Ferraresi", che, con accentuata convessità verso Nord, solleva il tetto del pre-Pliocene sino a poche decine di metri dalla superficie.
Alla sedimentazione marina pliocenica-pleistocenica si è costituita a partire dal Pleistocene inferiore la sedimentazione continentale connessa con una fase regressiva e subsidente.
La transizione tra sedimentazione marina e continentale affiorante nel margine appenninico (Annovi e altri, 1979; Gasperi, 1987) è contrassegnata da depositi di transizione quali sabbie e sabbie e ghiaie, talora cementate, di ambiente litorale e peliti sabbiose e ghiaie di delta la cui età, nelle aree ricordate è collocabile alla fine del Pleistocene inferiore (circa 1x10-anni fa) (Raffi e Rio, 1980; Cremaschi e Sala, 1982).
Il ritiro delle acque del Golfo padano è avvenuto da Ovest verso Est e dai margini delle catene verso l'asse della pianura (Gasperi e Pellegrini, 1984) e non è stato nè progressivo nè univoco, ma è senz'altro avvenuto con movimenti alterni per cui nel sottosulo si ha l'alternarsi di depositi marini e/o di transizione e di episodi di deposizione continentale (Colombetti e altri, 1975). L'alternarsi di facies è legato, oltre che alle glaciazioni, che si sono succedute nel Quaternario a causa di cambiamenti climatici avenuti a partire dalla fine del Pliocene
(figura 10 PDF 308KB)
e a variazioni globali del livello del mare
(figura 11 PDF 36KB), a movimenti tettonici che determinano una subsidenza differenziata e portano ad accentuare le scritture delineate precedentemente.
Sempre a partire dal Pleistocene inferiore, l'Appennino subisce un sollevamento generalizzato accompagnato nel margine padano da compressioni verso Nord Nord-Ovest: il sollevamento interessa aree più ampie delle precedenti con limiti che vengono a coincidere grosso modo con l'attuale margine della pianura.
Le facies continentali che succedono a quelle marine e di transizione consistono prevalentemente in conoidi pedemontane deposte da corsi d'acqua a canali anastomosati al cui fronte si sviluppa una piana alluvionale a prevalente accrescimento verticale.
Le conoidi pedemontane risultano incastrate le une nelle altre: le più antiche sono ridotte a lembi profondamente erosi e tettonizzati, le più recenti conservano la loro originaria morfologia; le più antiche, o meglio i loro lembi residui, affiorano al margine della pianura, ai piedi delle prime colline, mentre a maggiore distanza dall'Appennino si rinvengono in posizione sepolta al di sotto delle più recenti.
Lo sviluppo della sedimentazione pedemontana continentale avviene secondo gli schemi classici (Ricci Lucchi, 1978): al piede della catena montuosa si passa bruscamente da inclinazioni d'alveo maggiori a inclinazioni più modeste e il fiume, non più costretto entro la valle, può espandersi liberamente
(figura 12 PDF 58KB).
Questo sistema deposizionale è attivo a partire grosso modo dalla fine del Pleistocene inferiore, cioè dall'inizio della regressione marina e del sollevamento della catena.
Il diverso comportamento dei due settori, padano e appenninico, si articolano prevalentemente secondo due oscillazioni, una posta tra Sassuolo e Maranello e l'altra parallela alla precedente passa più a Nord per Cà di Sola: i depositi alluvionali subito a valle di tale linea sono potenti circa un centinaio di metri mentre a monte non raggiungono la decina di metri
(figura 13 PDF 58KB).
Le due faglie descritte non sono le sole presenti e attive nel tratto di pianura in oggetto
(figura 6 PDF 55KB),
(figura 7 PDF 71KB) e
(figura 9 PDF 69KB);
altre subparallele alle precedenti sono riportate in profondità dall'AGIP e la loro attività in epoche vicine a noi ha indubbiamente regolato la distribuzione dei depositi alluvionali quali il progredire delle conoidi e il vario divagare dei fiumi.
G. Gasperi
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